La femminilità ritrovata
Per una riscoperta del femminile Attraverso un percorso museale alternativo
Mariachiara Giglio
4/8/20256 min leggere


«… publicity in women is detestable.
Anonymity runs in their blood. »
V. Woolf, A room of one’s own
I Dialoghi alle Gallerie: per un museo fatto da e per i giovani
Sembra essere un dato oggettivo, ormai, il fatto che i giovani abbiano perso ogni sorta d’interesse nei confronti dei musei. Non è un caso, dunque, che queste strutture vengano tacciate di alessandrinismo, animate da un impeto di passiva conservazione che respinge la curiosità esterna. «Aumenta in maniera decisa nel 2021 la percentuale delle persone con più di 6 anni che non svolgono alcuna attività culturale […]. Si passa dal 23,5 per cento registrato nel 2020 al 38,8 per cento nel 2021, con un aumento di astensionismo dalle attività culturali di oltre 15 punti percentuali» riporta l’ISTAT, condensando l’intera problematica nella formula della non partecipazione culturale.
I dati sono schiaccianti: le realtà museali falliscono nel propinare all’Italia giovanile attività culturali accattivanti, perlopiù reticenti dinanzi ai tentativi di reinterpretarne le ricchezze ivi custodite. L’incapacità di contestualizzarne le opere in un presente ambiguo pone uno schietto ultimatum ai luoghi di cultura del territorio: come riformulare l’immaginario artistico in maniera accattivante e al tempo stesso coerente? Come favorire il riscontro tra generazioni afflitte da incompatibilità cronica o, addirittura, tra epoche in apparenza antitetiche?
Ebbene, il vibrante ecosistema di Polis si è imposto un simile obiettivo: ricucire lo strappo generazionale e riportare i musei ad una condizione di entità trasversale – luoghi d’ispirazione e di interconnessione riflessiva tra esperienza artistica e realtà sociale, al cui interno sia possibile interrogare l’opera e applicarne l’insegnamento all’urgenza dei quesiti odierni.
L’iniziativa, intrapresa già a settembre, ha trovato nelle Gallerie dell’Accademia un entusiasta collaboratore: istituzione indiscussa nel panorama artistico di Venezia, quest’ultima ha offerto al pubblico una lettura inedita delle proprie opere, guidandolo senza sottostimarne l’acume interpretativo. Il progetto, difatti, ha goduto della cura di un comitato organizzativo costituito da membri dell’associazione appartenenti a diverse facoltà d’ateneo: Laura Cerutti, Giorgia Del Fabbro e Matilde Riccardi sono state affiancate da numerosi altri partecipanti, relazionandosi in maniera diretta con la direzione delle Gallerie e selezionando un variegato insieme di dipinti di rilevanza artistico-sociale. Figura fondamentale è stata quella di Michele Nicolaci, referente del Dipartimento Educazione e Ricerca, il cui contributo è stato cardinale nella coordinazione dell’evento.
I Dialoghi alle Gallerie, il prodotto di tale collaborazione, sono costituiti da un ciclo di tre incontri, ciascuno caratterizzato da una tematica di spessore storico-sociale, durante i quali è possibile interagire con l’opera d’arte e applicarne le suggestioni agli imperativi del presente: conferire tridimensionalità a questioni d’interesse delineando un percorso immersivo e dialogico, in equilibrio tra lo ieri e l’oggi, tra l’interno e l’esterno.
Il Direttore Giulio Manieri Elia, il quale ha presenziato all’inizio del primo incontro, ha rimarcato la quadra innovativa del progetto, invitando a scardinare gli apparenti anacronismi del patrimonio artistico in un attento lavoro di contestualizzazione.
Martire, musa, artista
Il primo Dialogo, tenutosi in data 27 marzo, ha avuto come tematica quella della femminilità. Indagata nelle proprie sfaccettature più controverse, essa è stata oggetto di una sorta di maieutica esplorativa e collettiva, attraverso la quale si è cercato di frapporre ad una prospettiva storicamente connotata quella, sovrastrutturale, dei cosiddetti temps modernes. Le tappe del percorso, selezionate dal comitato di ricerca, hanno attraversato le Gallerie celebrandone le tele già note e, al tempo stesso, scovandone i tesori reconditi.
Il gruppo di visitatori si è innanzitutto soffermato dinanzi al Sogno di Sant’Orsola (1) opera del veneziano Carpaccio a sua volta facente parte di un ciclo più ampio – le Storie di Sant’Orsola. Definito da Ruskin come la «gemma del Rinascimento veneziano», il quadro costruisce con finezza compositiva una scena onirica: alla santa, data in sposa in giovane età, vengono prefigurate in sogno da un angelo le proprie sorti. L’avvenimento ha luogo in una costruzione spaziale geometrizzata, nella quale il baldacchino della vergine occupa due terzi del campo visivo; la rigorosa prospettiva è stemperata dai colori tenui e languidi del mattino, la cui luce invade la stanza e si accompagna all’Annunciazione. Di spiccata rilevanza è il particolare del cuscino, la cui nappa penzola mollemente all’angolo del dipinto, simbolo di quella placida sonnolenza che caratterizza l’infanzia quando ancora non è subentrata l’adolescenza. Il momento di passaggio, in questo caso sublimato dall’apparizione angelica, è caratterizzato nella donna da una rottura traumatica con la corporeità infantile e con l’ingresso precipitoso nelle aspettative della maturità. In effetti, la cosiddetta ‘zona adolescenziale’ – non identificabile con uno stadio biologico – non è altro che una fabbricazione socialmente indotta, uno stato d’essere di recente invenzione. Quella di Sant’Orsola è, a dirla con le parole di Aleramo, «un’iniziazione atroce» a cui non è garantita la comodità formativa del transitorio: si addormenta bambina per risvegliarsi sposa.
Dopo una breve sosta dinanzi alla Madonna degli alberetti di Giovanni Bellini (2) trasposizione umanizzata dell’iconografia mariana, il gruppo si è spostato nella sala in cui sono esposti i capolavori di Giorgione, ambiguo esponente della scuola veneta: ai lati della Tempesta, più dimessi, si stagliano la Nuda (3) e la Vecchia (4). Da un lato, il corpo fiorente di una donna svestita, la cui disinibizione fa sfoggio di una certa stima di sé; dall’altro, un volto cadente e piagato dal vorace incedere degli anni. Si noti, a tal proposito, il biglietto che l’anziana esibisce all’osservatore: ‘col tempo’, cita, in un riferimento alla poetica oraziana (labuntur anni, Odi II, 14) e anticipazione del memento mori barocco. In apparenza antitetiche, le due figure si rivelano complementari: le carni piene della giovinezza si sfaldano nella vecchiaia e la pelle vetusta cui ambisce alla spavalderia di una gioventù ormai svanita. In una simile contraddizione sembra annidarsi una questione di notevole urgenza contemporanea: l’aspettativa femminile della bellezza eterna, il raggiungimento di uno standard estetico idealizzato che rende l’imperfezione un detrimento individuale, nonché un impedimento sociale. L’iconografia preconfezionata di una femminilità non guastabile, di un’esteriorità che possa favorire l’affermazione della donna in contesti relazionali. Insomma, riecheggia l’eloquente indagine condotta da Naomi Wolf nel suo The Beauty Myth (Chatto & Windus, 1990):
«As women released themselves from the feminine mystique of domesticity, the beauty myth took over its lost ground, expanding as it waned to carry on its work of social control. […] inside the majority of the West’s controlled, attractive, successful working women, there is a secret “underlife” poisoning our freedom; infused with notions of beauty, it is a dark vein of self-hatred, physical obsessions, terror of aging, and dread of lost control. »
Il percorso si conclude con un ulteriore confronto: quello tra i pastelli di Rosalba Carriera (5), pittrice e ritrattista veneziana che si cimentò con dedizione pioneristica ad un genere altrimenti svilito nei contesti artistici di dominio maschile, e tra la pittura storico-biblica di Giulia Lama (6), figura secondaria all’interno del panorama artistico di Venezia. I rispettivi lavori fungono essi stessi da metafora del sentimento di inadeguatezza che la donna è costretta a provare quando si inserisce all’interno di ambienti che escludono il femminile.
Da un lato vi è l’esperienza di un’artista la quale preferì espandere il proprio repertorio artistico e ritagliarsi un proprio spazio di manovra estraneo alla tradizione; dall’altro vi è lo sforzo di chi preferisce penetrare un ambiente estraneo e inospitale, all’interno del quale la propria vocazione è sminuita dal pregiudizievole confronto con la controparte maschile. Giulia Lama e Rosalba Carriera si impongono come figure archetipiche in quella che è la condizione lavorativa odierna, contrassegnata da una repulsione paternalistica nei confronti del femminile: si pensi al gender gap rilevato nelle materie STEM e agli stereotipi denigratori che avviliscono la donna ancor prima che si interessi a questo settore. Nel 2015, ad esempio, è stato rilevato che il 4,8% dei ragazzi ha un’aspettativa di carriera nel settore ICT, mentre le ragazze rasentano lo 0,4% (PISA).
La tematica, di straordinaria rilevanza sociale, ha innescato un dibattito tanto infervorato quanto approfondito: il contributo dei presenti ha impreziosito il dialogo con l’aggiunta di riflessioni, di aneddoti e di esperienze personali, mettendo in pratica il proposito di riscoprire nel patrimonio pittorico dell’interesse genuino nei confronti dell’attualità.
Il nutrito gruppo di partecipanti è stato un chiaro indizio di quanto le realtà espositive del territorio possano ancora accattivare un pubblico giovanile, rinvigorendone lo spirito critico e incoraggiando ad un perpetuo esercizio di contestualizzazione.
Il prossimo incontro si svolgerà in data 10 e 11 aprile ore 15.30 e avrà come tema quello della città di Venezia – anch’essa luogo del transitorio, attraversata da forestieri e alla continua ricerca di una propria identità abitativa. Le premesse sono ottime: si presagisce già un evento di profondo e reciproco arricchimento.
(1) Sogno di Orsola di Vittore Carpaccio (sala III)
(2) Madonna degli Alberetti di Giovanni Bellini (sala IV)
(3) La Nuda di Giorgione (sala VIII)
(4) La Vecchia di Giorgione (sala VIII)
(5) Autoritratto di Rosalba Carriera (sala 8)
(6) Sansone e Dalila di Giulia Lama (sala 6)






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