Un Film Per Riflettere
Lorenzo Viterbo, Tommaso Noce Porta
12/14/20244 min leggere


In data 11 dicembre, tramite la rassegna cinematografica “INVOLVED! MOVIELAB”, il film “Per un figlio” è stato presentato presso la casa di The Human Safety Net.
Il film di Suranga Deshapriya Katugampala tratta temi d’attualità come genitorialità e inclusione sociale, che giocano un ruolo fondamentale nel delineare la crescita e la definitiva emancipazione del protagonista.
Per la fondazione questi temi sono cari e costituiscono il perno attorno al quale i vari progetti a fine filantropico di questa ruotano. Infatti, questa ha programmi attivi che sostengono le famiglie vulnerabili e l’inclusione delle persone svantaggiate attraverso il lavoro e l’imprenditorialità in tutto il globo. In particolar modo, come spiegato da Alexia Boro e Francesca Grisot, rispettivamente direttrice e community manager di the Home of The Human Safety Net, è centrale la salvaguardia dei bambini e dei rifugiati nei contesti più disagiati.
Dunque il lungometraggio rappresenta a pieno la volontà di trattare questi temi, attivando la comunità cittadina e quella studentesca, inducendo queste al confronto su tematiche ad alto impatto sociale come quelle precedentemente trattate.
A rappresentare questa volontà Polis che, assieme all’associazione Baba Jaga, si è occupata in prima linea dell’organizzazione e della coordinazione di questo evento.
Altre realtà inoltre, su tutti Culturit Venezia, QuartaParete, Animare Venezia, JeVe, Sumus ed Invenicement, hanno contribuito significativamente alla realizzazione di questa serata, permettendo di instaurare un dialogo su temi sempre più attuali.
Al centro di questo confronto presente proprio il regista, il quale ha risolto dubbi e permesso approfondimenti incalzato dal professore Francesco Della Puppa, docente di sociologia presso Ca’ Foscari.
Prima della proiezione, Simone Rizzo, presidente di Polis, ha ribadito l’importanza di comprendere il nostro soggiorno a Venezia come un’occasione unica per scoprire e re-interpretare il potenziale di ciascuno, e di come questa serata rappresenti dunque l’inizio di un percorso che non domanda la mera partecipazione passiva. La sfida è quella di una presenza viva, consapevole, che studia le questioni del nostro tempo e che agisce perché da queste nascono nuove opportunità.
Il lungometraggio
“Per un figlio” porta su schermo una vivida rappresentazione di temi come identità culturale, conflitto intergenerazionale e senso di appartenenza.
Il film è incentrato sul rapporto tra Sunita, donna Srilankese emigrata in Italia, e suo figlio adolescente sospeso tra due mondi, il quale soffre questo scontro culturale.
Il lungometraggio riesce, tramite immagini forti e potenti simbolismi, a far calare lo spettatore in un contesto di tensioni culturali e familiari vissute ai bordi di una società con riti e culture aliene, inducendolo a riflettere sulla natura della coesistenza di coscienze e visioni diverse.
Queste tensioni trovano soprattutto sfogo nell’incapacità di Sunita di instaurare un rapporto con il proprio figlio. La madre, la cui mentalità è radicata nei valori tradizionali della sua terra d’origine, non riesce a comprendere ed aiutare il figlio, che la vede come una presenza ostile e castrante nei suoi confronti; il tutto è accentuato dalla distanza dovuta al lavoro della madre, costretta a passare gran parte delle giornate e, a volte, notti intere fuori casa.
Emblematica di questo scontro tra madre e figlio e, più generalmente, tra prospettive culturali diverse è la scena del rituale: durante un rituale tradizionale srilankese con cui Sunita spera di purificare il figlio (dopo aver scoperto poster rappresentanti donne nude nel suo armadio, scabrosi per lei) lui guarda video sul telefono, rimanendo del tutto disinteressato da quello che succede intorno a lui. Risulta chiaro come il figlio rigetti la madre come rappresentazione della sua cultura d’origine, verso la quale prova disinteresse e a tratti vergogna. Tutto ciò porta a una convivenza sentita come obbligatoria e forzosa con la madre che, nonostante tutti gli sforzi, non sembra riuscire ad ottenere la considerazione del figlio.
Un'importante traccia della difficoltà nell’instaurare un rapporto caloroso e solidale tra madre e figlio è costituita dall’anziana presso cui Sunita svolge il suo lavoro. Anche lei, trascurata dai suoi cinque figli, presi dai loro impegni quotidiani, si sente profondamente sola. Sunita, unica persona che volente o nolente mantiene con lei interazioni quotidiane, e a cui viene delegato l’onere di curare la donna, comincia a sentire, tra alti e bassi, un attaccamento emotivo sempre più forte con l’anziana per via del sentimento di solitudine che condivide con lei.
Altro tema, strettamente collegato a quello del conflitto madre-figlio è quello della maternità stessa. Il figlio di Sunita sente la mancanza di una figura materna, che è sempre stata lontana da lui. Scopriamo infatti durante il film che Sunita non lo ha mai allattato, cosa che più avanti negli anni ha aumentato le distanze tra i due. Il seno materno e l’allattamento diventano, in questo senso, il simbolo della maternità ricercata dal ragazzo, che arriva persino a pagare una prostituta (con soldi rubati dai risparmi della madre) con cui non riesce ad avere un rapporto sessuale, ma che, con lui in grembo in posizione fetale, sembra quasi allattarlo. Nell’ultima scena del film si vede il figlio di Sunita a tavola con la madre che alza la testa a guardarla, a simboleggiare, come dirà poi il regista stesso, “uno slancio alla comunicabilità e alla riconciliazione”.
Il dibattito
Dopo la visione del lungometraggio è stata intavolata una sessione di Q&A con il regista Suranga Deshapriya Katugampala e il professor Della Puppa, con la moderazione di Agnese Bettarelli di Polis. Durante questa discussione, il regista ha rivelato i retroscena della pellicola, raccontando tutto l’iter seguito durante le fasi di registrazione, montaggio e produzione del film. Katugampala si è successivamente soffermato a spiegare alcuni dei messaggi che egli voleva comunicare con il film, come l’idea delle origini e delle tradizioni come un luogo di (Rousseauuiana) purezza e innocenza. Il regista ha inoltre spiegato come egli abbia voluto lasciare intenzionalmente delle “zone oscure" nella trama, dei veri e propri “buchi” nel tessuto narrativo del film. Lo spettatore, dovendo colmare questi buchi “guardando a se stesso” (per usare le parole del regista), riesce così ad immergersi ancora di più nel contesto del film.
Un interessante spunto di riflessione fornito da Katugampala è stato quello della ricezione da parte del pubblico Srilankese della pellicola. Molti Srilankesi (specialmente quelli di età più avanzata) hanno criticato il film, perché non era un film in sé e per sé secondo i loro canoni di giudizio. Tutt’altra reazione invece è stata quella delle nuove generazioni, le quali lo hanno accolto più favorevolmente, interpretandolo come un invito a raccontare le loro storie.
In conclusione, questo evento di Human Safety Net è stato un importante momento privato ed intimo per ognuno che vi ha partecipato. Tutti i presenti hanno avuto modo di riflettere riguardo a tematiche complesse e quotidiane come l’integrazione, il conflitto e la quotidianità. Questa esperienza indubbiamente chiama un’altra simile occasione di introspezione per tutti noi per poter riflettere ancora più a fondo riguardo tematiche così importanti e presenti nella vita di ognuno.
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